Gli ultimi passi da terra sanno di erba bagnata e le prime boccate in aria profumano di salsedine. In maniche corte entro nell’aria esattamente come fa la vela: lei sobbalza leggermente, segue l’andamento della temperatura delle masse d’aria, qui più caldo, laggiù più umido, poi un pò più fresco. Tecnicamente sono arrivato: ho il delta a disposizione, e mi voglio lasciare il boccone migliore per domani all’alba. C’è il faro di Goro, la casa sull’acqua, sono a qualche chilometro ma voglio tenermeli da parte.
Intanto le ombre si allungano, i colori si scaldano, quella mezz’ora di luce magica, che mi lascia come incantato. Volo due ore, mi faccio venire la pelle d’oca, il sole scende e io lo seguo. Atterro soffice, chiudo l’attrezzatura in un hangar insieme ad un biplano rosso.
Giancarlo mi ha lasciato una bicicletta, questa è un pò scomoda, faccio fatica, ma non mi interessa: schizzo sotto il campanile di Pomposa, ad otto chilometri da qui, dove mi hanno detto esserci una trattoria.
Arrivo sudato, ho pedalato con entusiasmo: la dinamo ronzava contro il copertone producendo un suono basso, ipnotico e rassicurante, come quello delle pale che fendono di giorno l’aria, quaranta centimetri dietro le orecchie.
La cucina è chiusa, ma rimane un calzone. Aggiungo una fetta di torta ed un cappuccino. Rientro e chiedo un’altra fetta, la signora compiaciuta mi chiede se ho gradito, visto che l’ha fatta lei. Ad essere sincero è stata una torta “funzionale”, buttata giù compulsivamente per fare volume e darmi un senso di sazietà. Per evitarle ulteriore fatica le chiedo di darmene direttamente due fette, unitamente ad un altro cappuccino.
Ritrito gli otto chilometri tra i campi rischiarati dalla luna. Non incontro nessuno, ma incrocio un’auto ferma ad un bivio, la luce di servizio accesa, una tradizionale camporella. Accelero l’andatura: va bene essere scambiati per furfanti arrivando di colpo in una cascina in mezzo alla campagna, ma il guardone no…vorrei evitarlo.
Sono quasi arrivato e mi chiama Alfredo. È un amico, un pompiere di Carmagnola. Mi chiede dove sono, se sto bene, se i posti mi piacciono. Ma sono domande di forma e introduttive: lui vuole sapere come rientro, se sono organizzato. Io non lo sono ancora, da sei giorni posso decidere al massimo per le due o tre ore seguenti, non oltre.
Non so cosa abbia fatto Alfredo, se abbia seguito i miei spostamenti, se sia stato di fronte ad un computer a leggere il blog. So per certo che ha fatto suonare il mio telefono puntuale come una sveglia: dodici ore circa prima del mio arrivo alla fine del viaggio, quando dovrei avere bisogno di un aiuto per il rientro. È stato zitto per una settimana, si è attivato al momento del bisogno. Non ce la fa proprio: è un pompiere, e si comporta così per natura. La divisa non la indossa a ore stabilite: lui ce l’ha nella testa. Ha un cicalino in tasca, e quando suona lui corre. Quando hai bisogno.
Lo libero dall’impegno, ma so che ho le spalle coperte: posso fare quello che voglio, ma se rimango a piedi so che posso contare su qualcuno. E il privilegio del gesto di un amico.
Continuo a pedalare e mi commuovo un pò: penso ai vigili del fuoco e penso alla bicicletta. Penso a Giovanni che veniva sempre in caserma pedalando con Kira al guinzaglio. C’era sempre per tutti, chiacchierava con chiunque ed era sempre disponibile. Un buono, di quelli veri, poi una brutta malattia se l’è preso di colpo e se lo sta tenendo da mesi. Lui non molla, ma non lo vediamo più in caserma, non lo potrò più incontrare per caso sul Col di Nava mentre va al mare in moto e ci fermiamo allo stesso bar, inconsapevolmente. Lui non molla, è stanco, ma non la dà vinta al male che è arrivato da un giorno all’altro.
Penso che non è giusto, non a lui. Egoisticamente nemmeno per noi.

Arrivo alla pista, tutto è fermo ed immobile. L’aria è tersa, la luna non è piena ma si vede benissimo. La pista è lunga un chilometro, i tralicci più vicini a cinquecento metri più in là, il silenzio è rotto da qualche lontana raganella. Vengo assalito da unimpulso quasi adolescenziale: quelle cose che devi fare subito, assolutamente, perchè altrimenti la vita non sarebbe la tua: voglio decollare e volare sotto la luna soltanto dieci minuti, su e giù per la pista, non mi allontano. Lo giuro. Conosco la pista, l’ho osservata da sopra e da sotto, di giorno, la sera, oramai ho fatto tre decolli e tre atterraggi. Sono le undici, devo farlo assolutamente. Ci vedo benissimo, non preoccuparti.
Guardo la pista, la fisso, vado indietro di sei giorni e risalgo il fiume controcorrente. Penso alla strada che ho fatto, al boccone che mi sono lasciato per domani.
Mi dico: -Non adesso, devi arrivare alla fine, questo è un optional non previsto, tienilo da parte quest’altro boccone: avrai un’altra occasione. Lascia finire una frase prima di interromperla e dire la tua con prepotenza. –